ZIPPO – Ode To Maximum
Certi dischi richiedono più tempo degli altri per essere assimilati e, di conseguenza, anche gli articoli che li riguardano possono avere tempi di incubazione decisamente più lunghi. Nel caso della ristampa di Ode To Maximum, primo album dei nostrani Zippo, la questione è un po’ più particolare: è un disco che conosco piuttosto bene, è stato uno dei primissimi lavori stoner italiani a cui mi sia mai accostata, eppure sono qui a parlarvene con un certo ritardo rispetto alla sua pubblicazione. Il motivo è semplicemente che avevo bisogno di ponderare per bene le parole da scrivere; volevo essere all’altezza del compito, ecco.
Ode To Maximum esce, autoprodotto, nel 2006, seguito poi da The Road To Knowledge (2009), Maktub (2011, mi esalto un sacco per la partecipazione di Ben Ward) e After Us (2016). Io mi avvicino allo stoner nelle sue varie sfumature giusto un paio di anni dopo, nell’estate 2008; scopro di adorarlo — lo adoro tuttora, ormai lo sapete (?) — e mi lancio in una sfrenata ricerca di band e dischi per saziare la mia fame e recuperare tutte le meraviglie che sicuramente mi sono persa fino a quel momento. Sappiamo tutti che stare dietro alle uscite discografiche in tempo reale è già complicatissimo, figuriamoci andare a ripescare roba uscita anni e anni fa; per questo motivo seguo attentamente tutti i movimenti musicali dei miei contatti social: quando pubblicano una canzone di un disco o di un gruppo che non conosco me lo appunto, ripromettendomi di ascoltarlo il prima possibile. È esattamente così che ho scoperto Ode To Maximum, grazie alla condivisione di un suo brano da parte di un mio amico su Facebook. Amore a primo ascolto.
Nell’ottobre del 2013 faccio il mio debutto nel mondo delle webzine musicali, ma prima mi viene richiesta una recensione di prova. Nulla di che, non sarebbe stata neanche pubblicata, serve soltanto per dare un’idea della mia scrittura. Scelgo di parlare proprio di Ode To Maximum, entro nella mia prima redazione e, quasi sei anni dopo, sono ancora qui a parlarvi di musica più o meno brutta su webzine diverse. È un onore per me — ma davero davero — raccontarvi del primo esperimento musicale degli Zippo, presentato qui in una veste rinnovata e migliorata in casa della neonata Spikerot Records, con una copertina disegnata per l’occasione da Davide Mancini e un articolo scritto da una me un po’ più matura e forse anche meno formale di quanto lo fossi all’epoca.
Dicevamo, la nuova copertina. Un tripudio di colori, psichedelia per gli occhi. Un’esplosione, un elefante che forse è un mammut, però aspetta, vedo anche una farfalla e delle rocce; il vecchio logo stampato sul disco, due tracce bonus che prima non c’erano. Ho una strana nostalgia della me poco meno che ventenne; o forse era già poco più all’epoca, non mi ricordo. Brani che mi sono familiari: la lunga e ritmata intro e i sussurri dell’ottima “Crazy Forest”, una formazione che ha subito un paio di cambi, e “S.N.A.P.R.S.T.”, uno dei due brani cantati in italiano (insieme a “Tukay’s Fury”), che è riuscita a rimanere la mia preferita in assoluto: «Meditando su ciò che è stato / E su ciò che non sarà mai». Perché sì, gli Zippo funzionano tanto in italiano quanto in inglese e sono dettagli importanti, mica pizza e fichi. L’influenza di quei colossi che sono i Kyuss, gli Orange Goblin e gli Yawning Man è perfettamente riconoscibile, anche se Ode To Maximum ha sempre avuto un modo tutto suo di aggiungere particolari ai pezzi: se in “S.N.A.P.R.S.T.” spunta un intermezzo molto lounge, in “Forgotten Season” i cambi di tempo catturano la mia attenzione; in “Night Jam” invece abbiamo un momento strumentale di altissima qualità e di ottimo gusto, con una batteria discreta e mai invasiva. A questo punto, spinta dalla curiosità mi sono lanciata su “Night Jam #2” e ho trovato lo stesso squisito gusto, giusto un pelino più distorto e con una batteria più sul pezzo. La naturale evoluzione degli stessi suoni, direi.
Un’altra canzone che porto nel cuore è “Kid In The Desert”, con la sua freschezza e uno dei ritornelli più riusciti del disco, oltre a un’outro quasi in punta di piedi. “Elephant March”, ci dice l’artisticamente camaleontico Davide (Shores Of Null, anyone?) nel libretto, chiude tutti i concerti ancora oggi: mi piacerebbe essere lì ad assistere, prima o poi. A conclusione di Ode To Maximum come lo conosciamo c’è “Omega”, seguita dalla prima traccia bonus — “Night Jam” parte due — e da un omaggio coi fiocchi agli Slo Burn e alla loro “July”.
I brani di Ode To Maximum, remastering a parte, non sono cambiati affatto. Si riesce ancora a respirare l’aria di un debutto che, però, era già avanti con i tempi quando è stato pubblicato. Intanto, l’uomo del logo stampato sul disco continua a sputare fuoco; Zippo, eh… furboni*. Questo articolo è per me una sorta di chiusura di un ciclo, un pezzo che è uscito in effetti con più facilità di quanto credessi, un modo per dare voce all’ammirazione e all’entusiasmo provato ascoltando Ode To Maximum per la prima volta e realizzando che esiste, ed è in continua espansione, un sottobosco di miei connazionali che nulla hanno da invidiare a pezzi grossi dello stoner più o meno psichedelico. Probabilmente questa ristampa avrà fatto avvicinare molti recensori e ascoltatori a un disco che all’epoca è stato distribuito in tiratura limitata e con metodi fatti in casa e non posso che esserne felice; d’altro canto, però, non posso fare a meno di gongolare mentre tengo in mano la mia copia nuova di zecca e penso: piacere di riascoltarti.
* ’sta scemenza l’avevo citata nella famosa recensione di prova, a cui ho sentito il bisogno di rendere omaggio. Non odiatemi, io vi voglio bene!