Un Euro Può Bastare: i consigli del mese su Bandcamp – febbraio 2022
Bandcamp, per l’amante del metal estremo, è un po’ un piccolo angolo in cui sentirsi a casa. È utilissimo non solo per ascoltare e sostenere band già note ma anche per andare alla ricerca di progetti nascosti, sconosciuti ma comunque validi. C’è tutto un sottobosco di artisti — spesso esordienti e giovani — disposti a sacrificare il mero guadagno pur di condividere la propria musica. Nasce così Un Euro Può Bastare, una nuova rubrica nella quale andremo a presentarvi fino a dieci tra i migliori album, ep o demo usciti nel mese appena concluso e messi a disposizione del pubblico gratuitamente; ovvero con la formula name your price, per usare il gergo di Bandcamp.
Un paio di regole e indicazioni relative alla selezione delle opere: presenteremo solo lavori di band sconosciute e, tendenzialmente ma non tassativamente, esordienti. Per fare un esempio, non parleremo del pur ottimo Reverence dei Det Eviga Leendet, in quanto band già affermata nell’underground estremo e giunta al secondo album. Sono ammessi invece anche lavori pubblicati da etichette discografiche, purché la band rispetti i crismi di cui sopra. Infine l’ordine nel quale presenteremo le opere non è meritocratico né segue logiche di preferenza, ma rispetta la semplice cronologia delle pubblicazioni, dalla più lontana alla più recente.
Detto ciò, possiamo cominciare, precisando un’ultima cosetta. A differenza del numero relativo al mese di gennaio, quello di febbraio conta solo otto opere: il mese più breve dell’anno ha offerto una minor quantità di dischi davvero degni di nota. Ma, attenzione, molti di questi sono di livello davvero alto. Alcuni dei progetti verso i quali rivolgeremo i nostri riflettori sono Serpent Dweller, Balamuthia e Black Claw.
1. Apostate Saints – … So Below (black-death metal, EP, autoprodotto)
Gli Apostate Saints arrivano da Melbourne, Australia, e …So Below è il loro EP di debutto. La one man band creata da Tamas Ferenczy propone una combinazione di black, death e thrash metal, con quattro delle cinque tracce che non arrivano nemmeno ai tre minuti e mezzo di durata. Ferenczy assale l’ascoltatore con i propri riff taglienti e violenti senza diluirli, traendo giovamento dalla diffusa brevità dei pezzi. La chitarra difficilmente si abbandona a plettrate rapide, prediligendo una scrittura massiccia e granitica a una zanzarosa (con le dovute eccezioni, come “Vermis Insanire”). È invece la batteria ad aumentare i giri del disco, forse picchiata con poca originalità ma certamente con grande efficacia, rifacendosi alla tradizione thrash-speed-death metal degli anni ’80 e ’90, veloce, spietata, precisa e cattiva. Menzione a parte merita “…So Below”, title track che pare deviare, almeno in parte, dal sentiero percorso, più orientata verso lidi death-doom, si trascina per quasi otto minuti attraverso paesaggi apocalittici e desolati, con un senso di terrore e angoscia che opprime l’ascoltatore e ne comprime il petto come un macigno. Alla prima prova gli Apostate Saints hanno saputo mettere in mostra qualità davvero invidiabili.
2. Serpent Dweller – Demo II (black metal, demo, autoprodotto)
Il duo dei Serpent Dweller è invece californiano e rappresenta una parziale deroga ai criteri di selezione di questa rubrica. La band ha infatti all’attivo già un demo eponimo pubblicato a febbraio 2021 e anche il cantante N.P. possiede un piccolo CV musicale nei The Perpetual Wound e in passato negli October Flame. Demo II è tuttavia un lavoro così ben confezionato che è impossibile non fare un lieve strappo alla regola. Anche in questo caso il lavoro si estende per quasi venti minuti, frazionati in quattro tracce di black metal crudo, atmosferico e dalle forti venature epiche e melodiche (“A Sea Of Blood, Flooding The Ether”). C.F., l’addetto all’intero comparto strumentale, mette in mostra sopraffine qualità di composizione: tanto i riff in tremolo picking quanto le istanze più melodiche portano con sé un forte carico emotivo. “Perception Without Form” è un esempio: pur essendo sinistra e minacciosa, avvolge l’ascoltatore con un gelido abbraccio. Terrore e commozione convivono. Un futuro tetro e splendente attende il duo.
3. Beyond The Grasp Of Light – Hell (death-doom metal, EP, autoprodotto)
La butto lì: Beyond The Grasp Of Light potrebbe essere uno dei progetti rivelazione di questo 2022. È vero, è già la seconda eccezione alle nostre regole. Brandon Scott Baun ha già diverse pubblicazioni alle spalle con i progetti Capa e Sorrowing, tuttavia un EP della fattura di Hell, reso disponibile gratuitamente, merita un posto in rubrica, è proprio un obbligo morale. La prima prova della neonata one man band statunitense mantiene le promesse fatte dal titolo con una musica infernale, fangosa, sozza, un po’ quel death-doom à la Void Rot, un po’ black alla Plebeian Grandstand, un po’ di dissonanze industriali. Hell è un’opera tagliente, arrugginita e, di conseguenza, pericolosa per la salute dell’ascoltatore. La musica del tuttofare Brandon Scott Baun, suoi anche il missaggio e l’artwork, non lascia scampo: la chitarra, con i suo riff granitici e circolari, sembra avere un moto ondivago e ipnotico; il basso, perfettamente udibile, sorregge insieme alla batteria con gran precisione uno scream distorto, folle e disperato come quello di Mories dei Gnaw Their Tongues portato al parossismo. Ribadisco: potremmo avere tra le mani un possibile candidato a un posto nelle classifiche dei migliori dischi dell’anno.
4. Balamuthia – Devouring Human Flesh (death metal, demo, autoprodotto)
Ai selvaggi e violenti Balamuthia bastano tre tracce per annientare l’ascoltatore. Death metal brutale e spietato, figlio della tradizione svedese (il trio è di Göteborg), Devouring Human Flesh rievoca band come Bloodbath, Carnage ed Entombed. Tra riff frantuma-ossa, assoli taglienti e una batteria forse non sempre precisa ma comunque efficace, i dodici minuti del demo solleticano il palato del pubblico affezionato al death metal scandinavo degli anni ’90 e dei primi 2000. È tutto cavernoso e ogni suono sembra provenire dagli abissi più nascosti e reconditi della terra. L’accordatura delle due chitarre è grave e fangosa, il growl di Benjamin Håkansson sembra quasi ribollire di lava e catarrro. Disgustoso, meraviglioso.
5. Penthos – Penthos (Black metal, album, autoprodotto)
Un piano mesto, vagamente scordato e sgraziato, come proveniente da epoche ormai perdute, apre l’album di debutto del duo greco Penthos. Trascorsi i due minuti dell’intro, veniamo accolti da un black metal che non assale l’ascoltatore ma lo ammalia con un mid tempo sinistro. La mefistofelica violenza di storiche band quali Satyricon e Mayhem viene qui filtrata attraverso l’estetica black ellenica, come se i Varathron di His Majesty At The Swamp riarrangiassero i classici dei mostri sacri (ehm…) summenzionati. In Penthos sono rare le accelerazioni ronzanti, che concedono spesso le luci della ribalta più al riff quadrato e ben definito in stile greco. Certo non privo di difetti, che riguardano principalmente alcune imprecisioni del chitarrista Apaisios (che, invece, dal punto di vista canoro fa una gran bella figura), il debutto dei Penthos offre una mezz’oretta più che piacevole agli amanti del black metal tradizionale ma non banale.
6. Black Claw – The Unabating Terror (cosmic doom metal, EP, autoprodotto)
Gargantuesco, straniante, affascinante. Questi tre attributi descrivono l’EP di debutto della one man band Black Claw, che reca la firma dell’inglese James Murray. Tre enormi tracce con durate dai dodici ai diciassette minuti di doom terrificante e atmosferico, che proviene dalle profondità più oscure e misteriose dello spazio, quelle abitate da creature inimmaginabili e culle di orrori che superano anche la più perversa delle fantasie. Al nucleo doom — che talvolta si avvicina anche al funeral — si sommano distorsioni noise che amplificano quel senso di ignoto e di minaccioso che attraversa l’intera opera. L’estetica del disco non cela, sin dall’artwork, il debito che possiede con la letteratura di Lovecraft. Orrore e misteri oltremondani si fondono in oltre quaranta minuti di musica cosmica e densa che nella seconda traccia “The Crawling Chaos” vede anche la partecipazione al microfono di Jean Claude VanDoom dei Cult Of Occult: un’aggiunta che incrementa l’angoscia e il terrore dell’EP. Un ascolto obbligatorio per ogni amante del doom atmosferico. Straordinario.
7. Orphan Feast – The Sinner’s Manifesto (blackened grindcore, demo, autoprodotto)
Il sottoscritto non è un grande estimatore del grindcore e proprio per questo motivo gli Orphan Feast hanno conquistato un posto in rubrica. The Sinner’s Manifesto è il primo demo della one man band la cui identità è ignota, dedida a un blackened grindcore logorante. Tutto ciò che farcisce questo quarto d’ora è un metal estremo che alla velocità quasi disumana della musica -core più spinta unisce anche forti componenti epiche e melodiche e dissonanze maligne che derivano dal black metal gelido di matrice nordica. Tutto ciò è molto ben sintetizzato in “Slaughter Of The First Man”, nella quale coesistono tutti gli elementi disseminati in The Sinner’s Manifesto, in un piglio compositivo quasi progressive. Parziale difetto — che tuttavia subisce l’influenza del gusto personale e pertanto non è oggettivo — è rappresentato dagli assoli di chitarra disseminati qua e là nel corso del demo, i quali soffrono di una certa banalità che cozza molto con la musica nient’affatto banale degli Orphan Feast: plettrate rapide, scale su e giù che poco aggiungono ai brani, che al contrario avrebbero probabilmente guadagnato in incisività dall’assenza di questi momenti solisti tech-melodici.
8. Wuuthrad – Profecies Of The Elder Scrolls (dark ambient-sludge metal, album, autoprodotto)
Chi è appassionato di videogiochi e, nello specifico, di The Elder Scrolls V: Skyrim avrà sicuramente intuito qualcosa leggendo il nome di questo progetto tutto italiano: Wuuthrad è il nome di un’arma del gioco. Simon, the Bard suona un death-doom-sludge metal che rende omaggio alla celebre opera videoludica da un punto di vista tematico e lirico. Le quattro lunghe tracce, dalla durata complessiva di trentasette minuti, offrono stimoli sempre differenti, pur mantenendo intatta e invariata la matrice summenzionata. Grazie a numerosi inserti ambient, infatti, l’album sembra quasi volersi proporre come colonna sonora delle battaglie, dei dungenon e dei misteri del videogame. Il mixing rozzo e graffiante veicola in maniera eccelsa la dimensione cavernosa e, al tempo stesso, quasi infinita di Skyrim. Prophecies Of The Elder Scrolls è un lavoro davvero piacevole, nonostante qualche momento di fiacca che, con il susseguirsi degli ascolti, potrebbe ingenerare un po’ di noia.