Scheletri Nell'Armadio #01

Scheletri Nell’Armadio #01

Esistono poche cose certe nella vita, fra cui la morte, le tasse e il fatto che ciascuno di noi custodisce segreti inconfessabili. Anche noi metallari duri (il giusto) e puri (per nulla) rientriamo nella categoria. Ecco che dopo aver conquistato una certa credibilità con un decennio di duro lavoro, abbiamo deciso di sputtanarci… ehm esporci completamente e sinceramente a voi, liberando gli scheletri dai nostri armadi. Questa rubrica nasce allo scopo di rivelarvi i nostri ascolti segreti, nei quali ci rifugiamo quando ne abbiamo avuto abbastanza di Satana, Male e Morte. Se ci toglierete il saluto o addirittura il mi piace dai social vi comprenderemo, ma sappiate che è stato bello e vi abbiamo voluto bene.


Aqua – Aquarium [Vlakorados]

Potrà sembrare un’affermazione esagerata, ma se in quel maledetto giorno d’estate di fine anni Novanta non avessi implorato mamma e papà di comprarmi un certo album, probabilmente i miei gusti musicali (e non) oggi sarebbero completamente diversi. Si potrebbe discutere del fatto che sarei anche una persona decisamente migliore, ma non è questo il punto: il debutto degli Aqua fu il primo passo della mia avventura nel mondo della musica e ancora oggi mantiene un posto di tutto rispetto nella mia collezione.

Quell’alternanza tra una voce femminile cristallina e una maschile più vigorosa che successivamente ritrovai — in maniera leggermente diversa — in certe realtà gothic metal, quell’attitudine cartoonesca non troppo diversa da quella di alcune idol nipponiche, il senso di sconforto tanto caro al metal estremo che però, in questo caso, deriva dal rendersi conto di essere vicino ai trenta anni mentre si canta “Barbie Girl” sotto la doccia: fondamentalmente (e incredibilmente), l’eurodance surreale di Aquarium racchiude una discreta parte degli elementi che caratterizzano le mie preferenze musicali odierne, con brani come “Lollipop” e “My Oh My” che saltano fuori prepotentemente e in continuazione tra i miei ascolti quotidiani.


Kanye West – 808s & Heartbreak [Crypt Of Fear]

Permettetemi di mettere tra parentesi il personaggio: per quanto sia allettante tracciare un filo rosso tra la sua musica e le amenità scandalistiche che potete leggere sul suo conto, tutto ciò ci distrae da quello che il Kanye West musicista e produttore è stato capace di fare. 808s & Heartbreak è stato creato da un uomo che aveva già conosciuto il successo commerciale, che aveva già i riflettori puntati addosso, eppure suona così intimo, così personale.

Sin dall’inizio, dai sei minuti di “Say You Will”, si ha l’impressione di avere a che fare con una ricerca sonora che travalica il mainstream, pur mantenendo l’intenzione di creare hip hop immediato e d’effetto. Ci sono molti campionamenti, spesso usati in modi originali a creare un’atmosfera paradossale tra il sintetico e l’autentico, tra il vicino e il lontano. Certo, ciò si concretizza anche per merito di una tonnellata di autotune, eppure brani come “Love Lockdown”, “Paranoid” o “Street Lights” funzionano anche grazie a esso. La musica ha il sapore della solitudine, del rimorso, del rimuginare sulle scelte fatte. I versi di “Welcome To Hearbreak” mettono in chiaro questa sensazione: «Chased the good life my whole life long / Look back on my life and my life gone / Where did I go wrong?».

Non mi ritengo strettamente parlando un fan di Kanye West. In genere ho poco interesse verso il primo periodo più standard (per quanto ammetta sia valido) e in passato non a caso ho citato The Life Of Pablo come uno dei flop dell’anno 2017, in quanto per me è stata la presa di coscienza che oltre al trittico composto da questo album e i due successivi non c’è molto altro. In un certo senso «I used to love Kanye…».


Nathalie – Vivo Sospesa [LordPist]

Non sono mai stato un fan dei milioni di gare canore e talent show eternamente uguali che vengono propinati a ogni latitudine, eppure per qualche motivo restai colpito dallo stile e dalla musica di Nathalie Giannitrapani (in arte solo Nathalie), vincitrice dell’edizione 2010 di X-Factor. Molto probabilmente la cosa fu dovuta ai suoi trascorsi nel mondo del nu metal e del gothic rock (cantò negli scomparsi Damage Done nella prima metà degli anni ’00), influenze che trasparivano anche nelle sue esibizioni in TV.

Un ventaglio di influenze che guardava anche al cantautorato e al folk, contornato da una preparazione musicale di tutto rispetto, trovò la sua dimensione pop nel debutto Vivo Sospesa (2011). Beh, quel disco tutt’oggi spunta qua e là tra i miei ascolti, emergendo dal mare di doom e post-metal che in genere mi accompagna, e spesso mi ritrovo a canticchiare i versi della cantautrice romana (che negli anni si è anche tolta qualche sfizio importante, come duettare con Battiato).


Evanescence – Fallen [Oneiros]

Tra gli innumerevoli gruppi disdicevoli che un buon metallaro può trovarsi ad apprezzare, gli Evanescence meritano una menzione speciale. Il loro album di debutto Fallen, uscito nel 2003 tramite Wind-Up Records ed Epic Records, è stato una vera e propria pietra miliare degli inizi dei 2000: in primis, poiché la creatura di Amy Lee e Ben Moody è stata capace di dare visibilità a un mondo la cui natura è sempre stata di nicchia; dall’altro lato, perché ha ispirato nuove generazioni di musicisti a dedicarsi a questo genere, come nel caso di Lindsay Schoolcraft dei Cradle Of Filth.

Il piglio goticheggiante di Amy Lee che richiama alla mente l’operato di Anneke van Giersbergen, prima di chiunque altra, l’impostazione nu metal figlia del proprio tempo (in cui Korn, Limp Bizkit e affini rollavano forte) e un sound complessivamente caldo e reale, in opposizione ai contenuti dei brani, hanno fatto sì che il primo disco degli Evanescence fosse un successo da ogni punto di vista. Perché il sottoscritto nel 2003 stava appena muovendo i suoi primi passi nel mondo del metal, e da allora Fallen è sempre stato un fedele compagno di vita.


Backstreet Boys – DNA [Elisunn]

Da bambina ero letteralmente ossessionata da questi signori qui, come molte altre mie coetanee del resto: le spedizioni in edicola a caccia di quel numero di Cioè con poster e gadget a tema Backstreet Boys erano all’ordine della settimana e il mio preferito era lui, il bello e impossibile Nick Carter. Sono passati una cosa come quasi quindici anni, ma il mio amore per loro non è mai scemato, tant’è che uno dei temi portanti della mia vita adulta è stato la volontà di vendermi qualche organo pur di partecipare a un loro concerto. Questo sogno si è avverato lo scorso 5 giugno e fortunatamente sono ancora integra, mi sono ritrovata all’Hartwall Areena di Helsinki a urlare insieme a qualche sparuta adolescente (ma che ne sapete voi dei vecchi tempi) e a un’enorme quantità di donne adulte, alcune di loro già mamme, mentre i non più tanto Boys snocciolavano uno dopo l’altro tutti i loro vecchi successi, intervallati da brani più recenti.

Pur essendo emotivamente più legata a Everybody (Backstreet’s Back), Larger Than Life e I Want It That Way, ho tuttavia scelto di citare il loro ultimo lavoro in studio perché il primo singolo “Don’t Go Breaking My Heart” mi ha fatto schifo come pochi, tuttavia — da quel 5 giugno in poi — qualcosa è cambiato: lo canto e ascolto a ripetizione, la coreografia nel video è una bomba e soprattutto ho messo un po’ da parte Nick per concentrarmi su quello zingaro di AJ McLean.


Alien Vampires – Harshlizer [M1]

Il connubio fra musica elettronica e discoteca, club, rave o qualunque altro contesto dedicato al ballo mi ha sempre provocato una fastidiosa orticaria, sin dalla più giovane età. Non ho mai sopportato tali assembramenti disordinati di individui, accomunati dall’ascolto di (quella che per me è) pessima musica.

Poi scopro che Nysrok Infernalien, membro di uno dei miei gruppi preferiti del momento (gli Aborym), possiede un progetto electro chiamato Alien Vampires. E allora, un po’ titubante ma curioso, mi lancio all’ascolto di questa harsh EBM (o aggrotech, che dir si voglia). Il cantato talmente distorto da risuonarmi alla mente come una specie di scream è il gancio per tenermi incollato. Piano piano l’adrenalina sprigionata dai beat martellanti prende il sopravvento e — porca puttana — mi ritrovo a scuotere la testa su ritmi tamarri, generati da strafatti che vaneggiano di alieni, droghe, bondage e suore incinte perverse! Nel mezzo della sagra del cattivo gusto trovano spazio anche campionamenti da b-movie e qualche chitarrone sparso qua e là.

Harshlizer è un campionario di quanto possono offrire gli Alien Vampires, dalla techno martellante di “Far Away” e “Nothing To Lose” allo stridore industrial di “Industrializer” e “She’s On Drugs”, passando per episodi più orecchiabili quali “No Way Back” e “See You In The Hell” (cover dei Suicide Commando) e pure attimi meditativi in cui rilassarsi completamente (“Before It’s Too Late”).


Chumbawamba – Tubthumper [Huldradans]

Ci sono gruppi, album e singole canzoni che rimangono indelebilmente legati a episodi o scorci della vita di ognuno di noi. Nel mio caso i Chumbawamba sono stati la colonna sonora di una calda estate adolescenziale, passata giocando con gli amici a Fifa 98 tra risate (parecchie) e coloriti insulti (molti di più). Nella colonna sonora del videogioco, tra le hit presenti, era stata infatti inserita anche “Tubthumping”, singolo estratto dal fortunato album Tubthumper del 1997.

Per la pubblicazione di quest’ultimo, la formazione inglese si trasferì sotto la major EMI, attirando su di sé le ire dei supporter di vecchia data. Sì, perché i Chumbawamba nascono nel lontano 1982 come collettivo di ispirazione anarchica, influenzato da formazioni come Clash e Sex Pistols. Il passaggio alla multinazionale di cui sopra venne interpretato da molti come un tradimento verso le proprie origini (emblematica ad esempio la partecipazione alla compilation Fuck EMI del 1989), ma lo spirito ribelle non fu accantonato del tutto nemmeno in questa occasione. Se “Tubthumping” ebbe l’indubbio merito di far guadagnare grande notorietà (e non solo) agli inglesi, grazie a facili melodie e un ritornello ripetuto in maniera ossessiva, nell’album si trova molto di più. Testi in aperta polemica con la situazione socio-politica dell’epoca e una capacità di mescolare rock, pop, dance, industrial e musica elettronica in modo inaspettatamente convincente.

Insomma, se il libro non deve essere giudicato dalla copertina, Tubthumper non può essere valutato dal singolo che lo ha reso famoso, perché alla fine nessuno vuole sentirsi dire “At Sii ‘N Gadan”.


883 – Nord Sud Ovest Est [Nihal]

Ci sono canzoni e gruppi che immediatamente e irrimediabilmente ti riportano indietro negli anni: per me, quasi tutte le canzoni degli 883. Max è patrimonio dell’umanità e i suoi pezzi hanno iniziato a occupare le tracce dei miei CD masterizzati da molto prima che il professore di musica ci obbligasse a cantare “Come Mai”. Da un lato Green Day, Pain Of Salvation e Sex Pistols, dall’altro «come mai, ma chi sarai per fare questo a me, notti intere ad aspettarti, ad aspettare teeee».

In generale, il gruppo di Pavia ha scandito la vita musicale degli adolescenti (e non) dagli anni ’90 in poi. Musica orecchiabile e ballabile, ritmi che entrano in testa e vi rimangono, testi semplici e parole che arrivano dirette e vanno a scavare nella quotidianità di ognuno di noi. L’ordinarietà è stata, probabilmente, il punto di forza degli 883: chi non si è mai immedesimato nel giovane che in discoteca guarda con ammirazione e timore una ragazza più grande e inarrivabile? Chi non si è mai sentito così spaesato da cercare in ogni angolo del mondo una risposta? Chi non ha mai avuto il cuore spezzato e si è lasciato affogare nelle pene d’amore, provando anche un malsano piacere? Chi non ha rispettato almeno una volta le leggi del branco? Chi non si è ritrovato a fare i conti con il tempo che passa?

Ancora oggi, nonostante i miei gusti musicali si siano evoluti e siano cambiati negli anni, mi risulta difficile rimanere ferma se partono “Nord Sud Ovest Est”, “Rotta X Casa Di Dio” o “Un Giorno Così”. E quando ho bisogno di sentirmi un po’ più pura e serena, forse in lontananza risuona ancora qualche nota di “Ci Sono Anch’Io” e immagino di prendere quella moto e scappare lontano.


Justin Timberlake – FutureSex / LoveSounds [Kelvan]

A cavallo del nuovo millennio assistemmo alla grande guerra delle boy band: tra i diversi schieramenti, e molto successive reunion, uno fra tutti riuscì a ergersi come vincitore assoluto. Non solo Justin Timberlake sbaragliò qualunque tipo di concorrenza reinventandosi solista, ma azzeccò anche le giuste collaborazioni (Snoop Dogg prima e Timbaland dopo) che lo consacrarono tra gli artisti pop più influenti dal 2005 al 2007.

Sarà stata la faccia da bravo ragazzo (che proprio in quegli anni tesseva una storia con Cameron Diaz), il mix di voce sensuale, testi esplicitamente allusivi, o il beat sensuale di Timbaland (non certo l’ultimo scappato di casa), sta di fatto che FutureSex / LoveSounds ha lasciato il segno con quasi ogni singolo prodotto: la provocante “SexyBack”, la sensuale “My Love”, la cinematografica “What Goes Around… Comes Around” (con tanto di Scarlett Johansson nel video… se le sceglie bene), il groove di “LoveStoned”, fino alla più R&B “Until The End Of Time”. Un mix letale, che apprezzai praticamente da subito, nascondendolo gelosamente agli occhi degli altri metallari brutti e cattivi; un giorno ero al concerto in mezzo al sudore e al fango, la sera dopo amoreggiavo con strusciamenti di varia natura. Che dire… se dovevo peccare e tradire il dio metallo, che ne valesse la pena.