Métal Noir Québécois: il gelo del black metal del Québec

Métal Noir Québécois: il gelo del black metal del Québec (pt. I)

Chi frequenta i territori del black metal underground presto o tardi si sarà imbattuto nel marchio IGP Métal Noir Québécois, il black metal del Québec, un’affascinante dicitura che racchiude una serie di gruppi provenienti dal Québec, fondati a partire dai primi anni del 2000. Métal Noir Québécois non rappresenta un’etichetta strettamente stilistica quanto identitaria, che coinvolge infatti l’eredità storica e lo spirito dei francofoni, andando ad ammantare questo particolare tipo di black metal di un sentimento di perdita che possiede radici secolari.

Le origini di questa pulsione risalgono alle vicende fondative del Québec, la provincia più estesa del Canada (quasi sei volte l’Italia), seconda per popolazione con appena otto milioni di persone e a maggioranza francofona. Una vera e propria nazione dentro la nazione, il cui territorio è dominato dai paesaggi naturali incontaminati che compongono lo scudo canadese: terreni rocciosi scolpiti dalle ere glaciali, montagne, laghi, tundra artica e foreste boreali. Dopo essere stato abitato per millenni solo dalle popolazioni autoctone di First Nations e Inuit, il Québec vive per duecento anni sotto la corona francese (dal 1534), diventando uno snodo commerciale fondamentale e un avamposto verso il Nord America. La sua posizione strategica attira però le mire degli Inglesi, che conquistano i territori della Belle Province nel 1759, con la battaglia di Québec City. Nel giro di pochi decenni i costumi dei franco-canadesi, basati sulla vita rurale e la missione civilizzatrice della Chiesa Cattolica, crollano completamente, complici anche l’arrivo dei reduci sconfitti nella Guerra di Indipendenza Americana e la Rivoluzione Industriale. Da allora le pulsioni indipendentiste ardono nel cuore della società del Québec, nonostante l’istituzione del Canada come confederazione autonoma nel 1867 (con inglese e francese lingue ufficiali) e le riforme modernizzatrici degli anni ’60. Addirittura nel 1995 un referendum per l’indipendenza viene bocciato per appena 55.000 voti di scarto, con il fronte del sì fermo al 49,42% delle preferenze e l’affluenza al 93,5%.

Il Métal Noir Québécois abbraccia i temi dell’indipendenza nazionale, della cultura e dell’identità francofone e dell’elogio del patrimonio naturale, veicolati attraverso la lingua francese e arrivando talvolta a mitizzare totalmente il passato. Questi argomenti si saldano poi coi pilastri ideologici classici del black metal: rifiuto della modernità, disgusto verso l’omologazione imposta dalla società e anticristianesimo. La combinazione fra il carattere globale del black metal e quello locale québécois viene espressa alla perfezione nella copertina di Légendes, uno split del 2014: la croce rovesciata, icona per eccellenza del black metal anticristiano, si sviluppa nella parte superiore in un giglio, il simbolo reale francese contenuto nella bandiera del Québec (le fleurdelisé).

Questo articolo, suddiviso in due parti, è dedicato ai protagonisti più significativi e longevi del Métal Noir Québécois e si sviluppa lungo dieci album fondamentali. I primi tre dischi di questa prima parte rappresentano la preistoria del filone, per poi incontrare due pezzi da novanta. Bonne lecture!


I PIONIERI: Frozen Shadows – Dans Les Bras Des Immortels

La figura chiave nella fase iniziale, di approdo e diffusione del black metal dall’Europa al Québec, è certamente Myrkhaal. Dopo aver fatto parte dei Tenebrae come cantante, la prima black metal band della Nuova Francia (fondata nel 1993) abbandonata a causa di dissidi e visioni musicali differenti, crea i i Frozen Shadows insieme all’altro esule, il bassista Namtar.

I due non perdono tempo e il 21 dicembre ’96 fanno uscire Empires De Glace, demo in cui un black metal grezzo, gelido e tagliente è ammantato qua e là da quegli influssi sinfonico-melodici che gli Emperor stanno diffondendo con maggiore maturità, arricchito inoltre da qualche breve passaggio atmosferico e in voce pulita che genera un contrasto con la violenza generale; poi riedito nel 2000 dalla tedesca Millenium Metal Music. I soliti problemi di formazione costringono purtroppo la band a rallentare le operazioni, che si sbloccano col debutto su lunga distanza Dans Les Bras Des Immortels, pubblicato a fine luglio 1999: un’oscura fusione di Immortal ed Emperor, sette tracce spesso di lunga durata di un black metal furioso e sinfonico che diventa metro di paragone per chiunque suoni il genere in Québec. I testi urlati da Myrkhaal (in francese in tre brani) legano elementi e panorami naturali (il sole, il gelo, la luna, l’inverno, l’alba, il nord) con sensazioni oscure e tormentate, come illustra il bosco innevato della semplice copertina notturna, utilizzando un linguaggio metaforico.

L’opera segna anche la nascita di Sepulchral Productions, l’etichetta messa in piedi dallo stesso Myrkhaal per supportare la sua creatura e che diventerà il punto di riferimento della scena Métal Noir Québécois. Al momento della sua creazione però i tempi non sono ancora maturi e così le attività vengono fermate subito dopo la realizzazione della compilation 1066 – Waging The War nel 2001, in cui compaiono alcuni futuri nomi di spicco del panorama internazionale come Negură Bunget, Horna, Ragnarok, Thy Primordial e Lord Belial.

Sfortunatamente i Frozen Shadows non godono di buona sorte e si sciolgono nel 2004 con appena due album e un demo all’attivo.


LA MAESTOSITÀ DEL NORD: Sorcier Des Glaces – Snowland

I Sorcier Des Glaces fanno parte dei precursori del Métal Noir Québécois e il loro contributo riguarda sia gli aspetti musicali che narrativi. Il duo sorto nel 1997 per mano del polistrumentista e compositore Sébastien Robitaille (noto anche come Sorcier Des Glaces) insieme al batterista Luc Gaulin (entrambi già membri della band prog metal Moonlyght) esordisce il primo gennaio 1998 con Snowland. L’obiettivo del gruppo è mettere in musica tutta la parte negativa delle proprie emozioni e in questa prima autoproduzione stempera le asprezze del black metal più gelido ed essenziale, come una batteria piuttosto scarna, con iniezioni abbondanti di sintetizzatori e influssi ambient. Il gruppo ambisce ad aumentare la profondità espressiva e celebrare il Grande Nord, fiero e immutabile nei suoi scenari preclusi all’uomo. Nonostante un approccio interessante e l’importanza storica, la prima versione di questo debutto paga dazio in termini di produzione, con suoni così poveri cui hanno tentato di porre rimedio ben due ristampe; la prima nel 2012, la successiva nel 2019.

Il motivo principale per cui il Mago dei Ghiacci non appartiene al movimento Métal Noir Québécois è la larga prevalenza dell’inglese nei testi, col francese limitato ad apparizioni saltuarie. La stessa band tiene a precisare questo stato delle cose, pur rispettando e avendo incrociato più volte la strada con alcune formazioni protagoniste della scena: Sébastien Robitaille ha collaborato sia con Monarque (tastiere sull’EP Jusqu’ À La Mort) che con i Sanctuaire (chitarra acustica in Le Sang Su L’Acier), mentre i Sorcier Des Glaces e gli stessi Monarque hanno condiviso uno split. Infine è importante sottolineare come la band ormai rifiuti anche l’etichetta black metal, preferendo quella di «Primitive Cold Metal» per definire la propria musica.

A partire dal 2012 quello che sarebbe dovuto essere un progetto secondario è diventato una priorità per Robitaille e Gaulin, con all’attivo sette album, e i due hanno mostrato una lenta ma costante maturazione nel tempo, frutto dell’esperienza accumulata e della creazione di uno studio di registrazione domestico. Vale la pena citare il solido North e l’ultimo Sorcier Des Glaces, un concept album ambizioso composto da un’unica traccia di 50 minuti dove inglese e francese si alternano.


LO STENDARDO DEL BLACK METAL: Akitsa – Goétie

Gli Akitsa sono un altro duo annoverabile fra i precursori del Métal Noir Québécois, sorto a Montréal nel 1999 per mano di O.T. (Outre-Tobe) e Néant. Se il contributo dei Sorcier Des Glaces ha riguardato la creazione di un immaginario naturalistico Québécois e il focus sulle sensazioni gelide e melodiche, nel caso degli Akitsa il patrimonio tramandato parla invece di attitudine e perseveranza ventennali. Uno dei problemi principali che affligge tanti gruppi locali della prima ondata black metal infatti è l’incapacità di rimanere attivi nel tempo.

Gli Akitsa sono una macchina da guerra intransigente autrice di un black metal primitivo, rigorosamente caotico e lo-fi, registrato col quattro piste di ordinanza, volumi a volte variabili fra un brano e l’altro, e influssi punk e noise sparsi qua e là, testimonianza delle esperienze alternative vissute da O.T. Il loro esordio su lunga distanza, intitolato Goétie (goezia: invocazione di spiriti malvagi), esce in musicassetta limitata a 215 copie per la misteriosa tedesca Heavy Distortion nel 2001 ed è una raccolta di black metal arcaico, eccezion fatta per i primi minuti dell’intro evocativa “Ouverture De L’Esprit” e gli ultimi defaticanti di “Dernier Souffle”. Tutto suona gracchiante e stridente, sia quando le ritmiche sono esasperate, come nella parossistica “Haine Et Vengeance” in stile Ildjarn, sia quando si rallenta in “Les Ruines De La Modernité”. Il riffing è sempre e comunque ridotto all’osso e lo scream non si preoccupa di essere il più possibile sgraziato e straziante. In questo tripudio di true black metal (“Hiérarchie” fa il verso ai Darkthrone) c’è spazio anche per gli influssi più rock di “Affront Final”.

La smania di azione degli Akitsa si riversa in una produzione torrenziale, da diciannove opere nel solo periodo 1999-2015, compresi split ed EP. Soltanto il più recente album Credo, uscito su Profound Lore Records, ha mostrato un nuovo volto del gruppo, più ragionato, con suoni maggiormente rifiniti e l’addio al classico bianco e nero in copertina. Per la cronaca: le più recenti edizioni di Goétie e Sang Nordique, primi due dischi del gruppo, godono di un leggero ammodernamento sonoro che li rende più comprensibili.

Coerenti con la volontà di esprimersi nella maniera più naturale e diretta possibile, gli Akitsa sposano il francese sin dagli esordi, per veicolare un messaggio fatto di angoscia, nichilismo, misantropia, rifiuto della modernità e glorificazione del passato associato all’orgoglio per la propria identità. Nonostante le smentite plurime in sede di intervista (sia a inizio carriera che a fine 2015), alcune frequentazioni tra cui Satanic Warmaster e Famine, titoli eloquenti tipo Credo, quello dello split Me Ne Frego e la militanza fra le fila dell’etichetta Christhunt Productions portano molti ad associare la band alle idee e al filone NSBM.

Come spesso capita in una scena di dimensioni ridotte, O.T. non è soltanto musicista e compositore ma anche proprietario dell’etichetta Tour De Garde, fondata nel 2001 come «simbolo dell’estetica del true black metal underground». Il catalogo è specializzato in edizioni limitate in musicassetta, pescando band dal Canada sino all’Australia. Accanto a nomi sconosciuti ai più, trovano spazio anche Acherontas, Satanic Warmaster, i britannici Old Forest e i Peste Noire.


LA FOGA DELLA BATTAGLIA: Brume D’Automne – Fiers Et Victorieux

I Brume D’Automne possono essere considerati la vera e propria miccia da cui è deflagrato il movimento Métal Noir Québécois, i reali pioneri. Il nome del gruppo creato da Nordet e Athros si ispira allo scenario autunnale in cui si sono combattute alcune storiche battaglie locali, dominato dalla nebbia provocata dagli incendi e dalle esplosioni delle cannonate. A livello musicale la band propone un black metal bellicoso arricchito da influssi folk che ha in Arckanum, Trelldom e Darkthrone tre punti cardine, con il cantato rigorosamente in francese.

Nordet sul palco (foto di France Hatin)

Fiers Et Victorieux esce nel 2005 per la misteriosa Winter Forest e ci trascina direttamente nell’autunno del 1837. I moti rivoluzionari dei patrioti del Québec sono falliti e l’esercito britannico ha schiacciato e umiliato i vinti. Una nebbia più fitta del solito avvolge l’intero scenario e le sue tinte scarlatte sono sinonimo di morte. Il debutto dei Brume D’Automne suona piuttosto viscerale e sempre sprezzante, in pieno rispetto della tradizione norvegese cui è legatissimo, tuttavia presenta peculiari pulsioni melodiche ed epiche, sempre bilanciate rispetto al lato estremo. La batteria di Athros garantisce un incedere battagliero e quei cambi di passo (e tempo) necessari a contrastare la reiterazione dei riff, mentre il cantato di Nordet è uno scream astioso ma decisamente intelligibile, che talvolta si altera in una specie di urlo di guerra oppure in una versione più nervosa e stridula. Il lato folcloristico della proposta è incanalato principalmente nei tre brani intitolati “Traditionnelle”, con l’eccezione dell’agrodolce melodia di flauto che fa da prologo a “La Mort D’Un Patriote”, primo brano della scaletta, replicata poi all’inizio di “Quand Les Morts S’Agitent”: “Traditionnelle 1” è una strumentale con una prima fase acustica, che gioca su una ritmica cavalcante; “Traditionnelle 2” ha il sapore di una canzone della tradizione che narra l’incontro con una bella e solitaria fanciulla; “Traditionnelle 3” infine è un classico epilogo malinconico la cui melodia principale è eseguita da un arco.

All’interno del disco il panorama naturale assume anche un significato più profondo che va oltre la mera descrizione e diviene la metafora per raccontare lo stato d’animo degli sconfitti: la battaglia ha lasciato i patrioti agonizzanti come foglie cadute da un ramo, ma la loro forza interiore è tale da eguagliare i possenti tronchi delle foreste del Québec; e le nuove note che risuonano nel vento annunciano proprio una futura riscossa. L’orgoglio locale insomma resta più vivo e ardente che mai nonostante i massacri subiti, e cresce di pari passo con l’odio verso gli inglesi, alimentato dalle atrocità commesse da questi ultimi; come racconta il bambino protagonista di “Le Visage De La Haine”, testimone suo malgrado dello stupro della madre. L’astio dei quebecchesi è rivolto anche verso la Madrepatria, che ha abbandonato i suoi (ex) figli alla mercé del loro più antico nemico.

Dopo l’uscita di Fiers Et Victorieux , i Brume D’Automne vengono messi in standby a causa degli impegni in altri progetti dei due componenti e si ripresentano sulla scena a intervalli piuttosto lunghi. Nel 2012 sbarcano su Sepulchral Productions con Brume D’Automne, cercando una maggiore sintesi (anche a livello di durata), l’integrazione degli influssi folk-pagan all’interno del black metal e di approfondire i frangenti più malinconici, pur esprimendo uno spirito indomito e una rabbia immutati. Il capitolo più recente è invece targato 2018, La Grande Noirceur (per la tedesca Darker Than Black Records) possiede un DNA immutato, seppur privo del contributo del fondatore Athros, mentre i suoni più nitidi determinano soltanto una parziale smussatura del lato più istintivo, in una sorta di aggiornamento all’attualità senza rinnegare il passato.


IL MITO: Forteresse – Métal Noir Québécois

L’album di debutto dei Forteresse rappresenta il manifesto ideologico e musicale per eccellenza del Métal Noir Québécois, lo spartiacque fra un prima e un dopo anche a livello lessicale. Métal Noir Québécois esce nell’inverno del 2006 per Sepulchral, frutto degli sforzi del polistrumentista Moribond e della voce di Athros, la cui simbiosi sublima le precedenti esperienze personali dei due: Heretic Blood per il primo; Brume D’Automne, Nordmen e Ur Falc’h per il secondo.

Il disco è un inno all’orgoglio del Québec e ai patrioti caduti, sulla scia dell’opera dei Brume D’Automne, ma innalza la qualità musicale a un livello ulteriore. Desolazione, sofferenza e tragedia attanagliano l’ascoltatore, aggredito da una produzione ruvidissima e dallo screaming spettrale di Athros, cantore della voce dei morti. In questo contesto così aspro il tremolo picking delle chitarre (con alcuni tratti comuni ai grandi Nyktalgia) è il faro che rievoca l’animo fiero e straziato dei ribelli durante l’epoca gloriosa delle rivolte di metà Ottocento. Il raw black metal di Métal Noir Québécois sa essere così epico e graffiante, con le lunghe cavalcate che diventano corse verso la libertà perduta e sottolineano l’importanza e la forza dell’insieme rispetto ai singoli elementi compositivi. A legare infine ulteriormente i Forteresse alla propria terra ci sono gli intermezzi di musica tradizionale, composti da autori locali vissuti fra ‘800 e ‘900, quali Joseph Allard (ritratto sulla copertina col suo violino), Isidore Soucy e Tommy Duchesne, a base di violino e fisarmonica.

Negli anni successivi il gruppo diventa il capostipite della frangia più esplicitamente separatista ma anche la punta di diamante dell’intero filone, senza mai ripetere un disco identico al successivo. La fase centrale della carriera dei Forteresse, rappresentata da Les Hivers De Notre Époque (2008) e Par Hauts Bois Et Vastes Plaines (2010), è dedicata all’elogio dei paesaggi invernali immutabili del Québec attraverso un «Metal Noir Epique Ambiant», così come lo definiscono: un black metal fortemente atmosferico, dalle ritmiche blande e i sentori ambient. Il più recente Thémes Pour La Rébellion (2016) invece dà spazio nuovamente all’animo più battagliero del gruppo, ma sviluppato in senso più epico e con una produzione moderna, potente e definita. Con quattordici anni di vita sulle spalle, il ruolino di marcia dei Forteresse ora conta cinque album all’attivo. Non va dimenticato infine l’impegno live del gruppo, che ha calcato palchi anche sul territorio di Stati Uniti, Francia e Finlandia.


Al termine di questa prima parte abbiamo compreso l’importanza del lavoro di Frozen Shadows, Sorcier Des Glaces e Akitsa nel creare un terreno black metal fertile in Québec, sul quale i Brume D’Automne prima e i Forteresse poi hanno potuto edificare le prime opere in stile Métal Noir Québécois. Nella seconda sezione toccheremo nuove band, abbracciando anche il depressive-suicidal e l’ambient.

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