10 ANNI DI BLACK METAL GIAPPONESE #09

10 ANNI DI BLACK METAL GIAPPONESE: ZERO DIMENSIONAL RECORDS #09 HURUSOMA – Sombre Iconoclasm

Questo articolo fa parte di una serie di approfondimenti dedicati a Zero Dimensional Records, etichetta specializzata nel black metal giapponese che da dieci anni è protagonista della scena estrema nipponica. L’elenco completo degli articoli è disponibile a questo link.

Gruppo: Hurusoma
Titolo: Sombre Iconoclasm
Anno: 2006
Ristampa: 2015
Provenienza: Giappone
Etichetta: Zero Dimensional Records
Contatti: non disponibili
TRACKLIST

  1. Intro
  2. Shade Of Soul
  3. The Call Of Wood
  4. Furi
  5. Grudge (From The Black Forest)
  6. Darkness And Evil [cover Sabbat]
  7. Storm
  8. I See The Lonely January Sun Arise
  9. Thunderbolt
  10. Open My Black Grave
  11. Sombre Metal
  12. Senpoku Kanpoku
  13. The Shadow
  14. Storm [live]
  15. War [cover Burzum]
DURATA: 47:14

Hurusoma è stata una delle varie incarnazioni di Masanori “Woods” (mente, fra gli altri, di Gnome), il nome del progetto deriva da un fantasma del folklore giapponese che si manifesta attraverso suoni di alberi caduti o tagliati. Sombre Iconoclasm è una raccolta (uscita in origine nel 2006 per Sabbathid Records) che contiene l’unico album del 1998, alcune tracce estratte da uscite minori e un piccolo bonus.

La musica di Hurusoma è decisamente ispirata alle basi black metal della seconda ondata: questa influenza è presente nell’operato delle chitarre che, pur non particolarmente fantasioso, riesce a rappresentare un buon esempio dell’ABC del genere. Nonostante questi aspetti primitivi, Woods riesce in generale a rendersi interessante inserendo idee di varia natura senza eccedere, evitando il rischio di apparire eccessivamente eterogeneo. È sempre gradevole, ad esempio, quando il musicista riesce a inserire a sorpresa assoli di matrice heavy metal, tanto che le rare comparse di questo elemento giovano notevolmente ai brani in termini di scorrevolezza; c’è poi il caso particolare di “I See The Lonely January Sun Arise” in cui le sei corde fanno leva su una sensibilità tutta nipponica, specialmente nelle fasi più rallentate. In una paio di occasioni, infine, entrano in gioco anche le chitarre acustiche, che se in “Grudge (From The Black Forest)” non si distanziano dall’uso che solitamente se ne fa nel black metal, in “The Shadow” vengono impossessate da uno spirito blues. Un altro fattore che Woods usa per sfaccettare maggiormente i propri brani è la sezione ritmica: si passa dai blast beat più classici che coprono gran parte dell’album ai minacciosi monoliti di “Senpoku Kanpoku”, passando poi per il punk in “Open My Black Grave” e riproponendo il legame col thrash metal dei Sabbat nella cover di “Darkness And Evil”.

L’aspetto che colpisce maggiormente, tuttavia, è l’approccio vocale folle e isterico, con urla disumane distorte che talvolta si sovrappongono; Woods dà il meglio — o il peggio, forse — di sé in questo ambito, raggiungendo l’apice nel caos infernale che chiude “Darkness And Evil”. A fare da contraltare, l’artista sfrutta anche un cantato pulito che riesce sia ad accentuare la natura malsana delle grida infernali tramite la combinazione dei due differenti stili sia ad aggiungere sensazioni cerimoniali dove lo scream non è presente. Questa caratteristica si incastra alla perfezione con l’interesse di Hurusoma verso il misticismo giapponese, al quale sono ispirati i testi e che viene evocato nell’introduzione fatta di percussioni e flauto di “Grudge (From The Black Forest)”; a tal proposito, anche il libretto presenta immagini spettrali-demoniache miste a elementi tipici del Giappone, come un Torii e una maschera da volpe.

Essendo una raccolta con brani provenienti da uscite diverse, è normale riscontrare una differenza di uniformità dei suoni scorrendo la scaletta: le prime otto tracce presentano, infatti, un sound relativamente pulito, il cui principale — e pressoché unico — difetto è rappresentato dai piatti spaccatimpani di “Shade Of Soul”; nel resto dell’opera, invece, i suoni sono molto più grezzi, ma tutto sommato accettabili, considerando che si tratta di un progetto estremamente underground di fine anni Novanta. Rappresentano un capitolo a parte invece le due tracce bonus: la versione live di “Storm” risulta tutto sommato apprezzabile, al netto della qualità di una registrazione dal vivo, mentre la cover di “War” di Burzum suona molto più cavernosa e riverberata rispetto al resto dell’opera.

Come già detto per Silent Scream di Gnome, anche Sombre Iconoclasm è un ottimo modo per recuperare in un colpo solo buona parte della produzione di un progetto leggendario dell’underground nipponico come Hurusoma; l’essenza più (im)pura del black metal è perfettamente percepibile in questo lavoro, insieme all’origine orientale dell’artista.