APHONIC THRENODY – Of Loss And Grief
Gruppo: | Aphonic Threnody |
Titolo: | Of Loss And Grief |
Anno: | 2017 |
Provenienza: | Regno Unito |
Etichetta: | Terror From Hell Records |
Contatti: | |
TRACKLIST
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DURATA: | 73:26 |
Tempo di cambiamenti in casa Aphonic Threnody, che pubblicano il loro secondo disco a pochi giorni dalla notizia dell'abbandono di uno dei due fondatori, il cantante Roberto Mura, separatosi dal gruppo a lavori appena ultimati. Non solo: della formazione responsabile di quel capolavoro che era "When Death Comes" hanno formalmente abbandonato anche il batterista MZ (Arcana Coelestia, Locus Mortis, Urna) e il violoncellista Abel, che ora figurano solamente in veste di ospiti, di nuovo insieme a Zack Cignetti. Gli Aphonic Threnody di "Of Loss And Grief" sono, quindi, una band profondamente diversa da quella degli esordi; tuttavia, non tradiscono le aspettative e anche questo secondo album è una bomba.
Pur se non in modo stravolgente, rispetto al capitolo precedente si nota un certo ridimensionamento delle tastiere, che porta il disco a ispessire inevitabilmente i suoni, più vicini al doom-death metal inglese anni '90 che al vero e proprio funeral. Largo spazio ai My Dying Bride, che spuntano anche nelle voci pulite (ancorché non recitate alla maniera Stainthorpiana), largo alla tristezza più profonda, al male di vivere opprimente cui non si può sfuggire. Canzoni che durano tra il tanto (gli otto minuti di "Life Stabbed Me Once Again") e il tantissimo (i quasi venti di "Lies"), eppure solo oggi credo di non avere ascoltato l'album per intero meno di quattro volte.
Altro aspetto non secondario sono gli ospiti esterni (per differenziarli da quelli per così dire interni citati in apertura), davvero tanti, ben sette. La scelta di questi, con membri di Mournful Congregation, Ataraxie e dei compianti My Shameful tra gli altri, è chiara e semplice: qui si soffre. Punto. Una sofferenza così cruda e profonda che non si può, ancora una volta, rimanere indifferenti alla musica degli Aphonic Threnody. Così viva, così piena, che sembra di poterla toccare con mano a ogni nuovo riff, a ogni urlo.
Macigni di questo calibro se ne sentono raramente, ma forse è un bene, perché possiamo apprezzarli ancora di più.