RINGBEARER – The Dark Side Of The Mountain
Gruppo: | Ringbearer |
Titolo: | The Dark Side Of The Mountain |
Anno: | 2013 |
Provenienza: | Vancouver, Canada |
Etichetta: | Acephale Winter Productions |
Contatti: | |
TRACKLIST
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DURATA: | 51:42 |
Nel giro di poche settimane ho fatto conoscenza con il progetto Noldor e con il progetto Ringbearer in modo del tutto slegato. Ascoltando l'uno e l'altro, tuttavia, non ho potuto fare a meno di notare diversi punti di contatto, tanto che non mi sono affatto stupito quando ho scoperto che i due autori si sono resi protagonisti di uno split, ma sto divagando.
Ringbearer è nientemeno che un progetto dark ambient ispirato agli scritti di Tolkien (nel caso il nome vi avesse lasciato dei dubbi), ed è la creatura del solo Vultyrous, di stanza a Vancouver, Canada, al secolo Jaron Good, noto per essere la mente (sola ed unica, di nuovo) dietro al più datato progetto Funeral Fornication. One-man band nata all'incirca l'anno scorso, non ho dettagli precisi riguardo la sua discografia: di certo conosco solamente il suddetto split con Noldor (cd-r limitato a trentatré copie) e questa tape, di cui esistono cinquanta esemplari.
Se i suoni di Funeral Fornication si sono contraddistinti in quest'ultimo lustro per fare particolarmente schifo (sottoproduzione, mala equalizzazione, registrazione in cantina e tutto il resto del repertorio), già un primo ascolto di "The Dark Side Of The Mountain" sorprende gradevolmente: i suoni sono caldi, lavorati e variegati, sintetizzatori e campionature non sono mai "di plastica" e in generale l'atmosfera creata è godibile ed accattivante. Pur non trovandoci di fronte a un capolavoro, questa cassetta racchiude una sobria interpretazione in chiave dark ambient del contesto tolkeniano, e già questo non è affatto scontato, anzi, dovrebbe far drizzare le antenne a tutti i possibili interessati. Sul lato A, il più variegato dei due, è poi registrato il brano migliore del lotto, "Nine Riders": oltre a essere l'unico pezzo con espliciti rimandi black metal, è un ottimo esempio della naturalezza con cui Vultyrous sia a suo agio mischiando diversi registri all'interno del proprio operato, senza snaturarne le caratteristiche principali (l'essenza di "musica d'ambiente") o ancor peggio rendere l'album un collage di suoni e linguaggi musicali del tutto slegati tra loro. Un'introduzione leggera e ariosa porta a un repentino cambio di marcia, all'unica traccia di voce umana all'interno del lotto, a una drum machine che scandisce il tempo in lontananza.
Uno standard compositivo decisamente sopra la media, una prova versatile e accessibile, confezionata con cura sia nei suoni che nel packaging (apprezzabile la grafica, così come la cassettina blu in cui la musica è contenuta); peccato solo in giro ce ne siano solo cinquanta copie.