MURMUR OF MONKS – Sacrament
La storia di Murmur Of Monks non è quella di qualsiasi band, principalmente perché in principio non si trattava nemmeno di un vero e proprio progetto musicale. Nato nel lontano 1996 come collettivo ispirato soprattutto alle opere di Lovecraft e alla mitologia sumera, ne facevano parte pittori, musicisti, poeti, scultori e artisti di ogni tipo; con il passare del tempo, il circolo si disgregò lentamente, fino a lasciare il fondatore Humwawa come unico membro nel 2018. Poco più di un anno dopo, il musicista decise di pubblicare il suo album di debutto.
Pur essendo ufficialmente l’esordio musicale di Murmur Of Monks, Sacrament non è realmente la prima produzione del collettivo: negli oltre due decenni di attività, Humwawa ha lavorato ad altri due progetti, Hymns From Hell e The Feeble Church, mai pubblicati a causa del senso di insoddisfazione dovuto all’uso di strumenti non professionali. Questo significa che oggi, finalmente, l’artista riesce a essere sufficientemente appagato della sua creazione da poterla presentare al mondo.
Non è però solo la storia a rendere Murmur Of Monks un progetto peculiare, ma anche la descrizione che fa della propria musica: dark chamber dance è l’etichetta con cui viene identificato lo stile di questo album, nel quale artisti del calibro di Laibach e Dead Can Dance incontrano la personale filosofia di Humwawa. Come evidenziato dalla copertina e dai titoli, il musicista belga ha utilizzato un forte simbolismo di natura religiosa — spiegato ampiamente sul sito ufficiale — in ogni elemento della propria opera, dalla grafica del digipak ai testi, passando ovviamente per il sound.
Le tracce che compongono Sacrament sono molto variegate e non temono di passare da episodi fortemente EDM come “Purification Ritual” ai toni più sacrali di “Liturgy”, unendo poi queste due anime nella strumentale “Epiphany”; allo stesso modo, sono presenti tanto brani caratterizzati da un’orecchiabilità quasi pop (“Dark Chamber Dance”) quanto altri che richiedono un ascolto più attento (“Weeping Willow’s Wisdom”), sfruttando in entrambi i casi — ma in maniera diversa — un uso drammatico ed enfatico degli archi. Oltre all’evidente ispirazione derivata dalla cultura occidentale e dalla spiritualità cristiana, talvolta emergono anche elementi etnici che generano ritmi quasi elettro-tribali, riscontrabili ad esempio in “Spiritus Sanctus” e “Ascension”; l’unione di questo ulteriore fattore alla solennità di cori e archi rende ancora più vasta la gamma di sensazioni nell’universo di Murmur Of Monks.
Humwawa sceglie di usare la propria voce solo in determinate occasioni, tanto da lasciare metà dei brani interamente strumentali. Il suo approccio tende a essere solo raramente in rilievo, utilizzando principalmente un tono apparentemente — e volutamente — poco espressivo, a tratti quasi apatico, che lascia al comparto strumentale il compito di enfatizzare le emozioni che vuole trasmettere. Solo nella più ritmata “Dark Chamber Dance” il suo contributo vocale riesce ad avvicinarsi al canto vero e proprio, mentre generalmente è più assimilabile a uno spoken word cupo e misterioso, arrivando a essere perfino gutturale nella title track.
In oltre venti anni di attività, Humwawa ha plasmato una creatura senz’altro personale, per quanto le influenze citate precedentemente siano palesi. Se la particolare storia di Murmur Of Monks non fosse un motivo sufficientemente interessante per entrare in contatto con questa realtà, Sacrament toglie qualsiasi dubbio sul valore dell’artista belga.