SONATA ARCTICA – Talviyö
Ancora una volta ci ho sperato e ancora una volta mi sono ritrovato davanti a un disco potenzialmente soddisfacente, come non se ne ascoltano da cinque anni e più, ma che tuttavia mi ha lasciato la bocca un po’ amara. Ovviamente parlo di Talviyö, il decimo album dei Sonata Arctica, in uscita il prossimo 6 settembre per la major Nuclear Blast. A differenza del suo predecessore The Ninth Hour, però, Talviyö ha in sé qualcosa di nettamente — e a tratti inaspettatamente — migliore che ha sorpreso il vostro, risaputo fan nonché spietato estimatore della creatura di Tony Kakko e soci.
Ho detto abbondantemente la mia su quella manciata di buoni motivi per cui bisognerebbe dare una chance al passato del quintetto di Kemi, eppure — qui lo dico e qui lo nego — quasi un pezzo su tre degli undici che compongono la scaletta di Talviyö non solo sono sufficienti ma — anzi — si fanno decisamente apprezzare. Certo, per chi ritiene la band morta dai tempi di Reckoning Night, ahimè, questo non sarà il disco che farà cambiare idea. A chi, invece, ha accettato la svolta e gli esperimenti dei Nostri, do un consiglio: preparatevi, perché il primo ascolto sarà un’altalena di emozioni. Per una volta, quindi, vale quasi la pena di fare un discorso più approfondito e strutturato come un’analisi traccia per traccia.
Talviyö inizia con un trittico di pezzi che mi ha colpito in maniera inattesa. “A Message From The Sun”, stando a quanto spiega il foglietto illustrativo, sarebbe una dedica al fenomeno dell’aurora boreale tanto caro ai nordici (difatti i Sonata gli avevano già dedicato la strumentale “Revontulet” ai tempi di Silence) e che prende le mosse fin dal primo istante con quei ritmi incalzanti e martellanti che in passato hanno fatto la fortuna della band. La successiva e più spavalda “Whirlwind”, di contro, porta con sé la giusta dose di rallentamento dopo un inizio del genere, esprimendo atmosfere e linee melodiche dai toni più cupi, con piccoli inserti di tastiera durante i bridge che ho particolarmente apprezzato. La più grande nonché grave sorpresa di queste prime tracce consiste in “Cold”: pur potendo anche essere penalizzata dal testo piuttosto banalotto (come purtroppo è successo anche in altri casi, in passato), gli arrangiamenti tanto quanto le linee vocali riescono a bilanciare il tutto, rendendola tremendamente gradevole; nella sua seconda metà, inoltre, torna a galla un’atmosfera che ricorda non poco quella della loro precedente “The Dead Skin”.
Dicevo prima che valeva quasi la pena articolare un discorso in stile traccia per traccia, ma sfortunatamente tentare di analizzare nel dettaglio il resto della scaletta non è un’operazione semplice e men che meno piacevole, con le prime difficoltà che emergono per l’appunto a partire dalle successive “Storm The Armada”, “The Last Of The Lambs” e “Who Failed The Most”. Laddove la prima e l’ultima, infatti, si rivelano pezzi un po’ riempitivi all’interno dell’intero lotto (se non fosse per qualche idea caruccia all’interno di “Who Failed The Most”), la centrale “The Last Of The Lambs” affossa completamente l’ascolto. La qui presente ballata ruota musicalmente attorno a delle tastiere piuttosto scure, mentre — stando sempre alle parole del documento informativo fornito dalla Nuclear Blast — tematicamente offrirebbe ai fan dei Sonata Arctica degli ulteriori elementi da aggiungere alla travagliata saga di Caleb, assieme alle precedenti “Whirlwind” e “Cold”; tuttavia, proprio a differenza di queste ultime, non spicca affatto per personalità né per il coinvolgimento che riesce a creare nell’ascoltatore.
La situazione non migliora nella seconda metà di Talviyö. L’unico brano che si salva quasi completamente è “Demon’s Cage”, ennesimo esempio di come una sapiente alternanza di ritmi più martellanti e momenti più cupi à la Reckoning Night, The Days Of Grays o anche Pariah’s Child dia la possibilità ai Nostri di tirar fuori il meglio di sé. Purtroppo, però, come dicevo questa è l’ultima buona prova dei Sonata all’interno dell’album. Il pezzo precedente, nonché unico strumentale “Ismo’s Got Great Reactors” non aggiunge né toglie nulla alla carriera del quintetto di Kemi e, anzi, sembra un po’ sfigurare davanti ai suoi predecessori (come la già citata “Revontulet”, “Reckoning Day, Reckoning Night” o “Everything Fades To Grey”); e se “A Little Less Understanding” è stata, come avevo già detto in precedenza, una pugnalata alle spalle, la conclusiva “The Garden” non si è rivelata troppo differente da quanto anticipato dal singolo.
In ultimo, infine, vanno spese due parole sul pezzone di questo album, ovvero “The Raven Still Flies With You”. Come dicevo al tempo di The Ninth Hour, «la band si è […] affezionata all’avere una traccia più lunghetta all’interno dei propri lavori, ed ecco come si è passati da “White Pearl, Black Oceans” e “Deathaura” a “Wildfire (Part II: One With The Mountain)” e “Wildfire (Part III: Wildfire Town/Population: 0)” fino ad arrivare a “Larger Than Life”». È stato questo istinto di matrice sperimentale e progressiva, ispirata agli ultimi Nightwish se non anche un po’ agli Avantasia, a regalarci quella fin troppo recente perla che porta il nome di “White Pearl, Black Oceans (Part II: By The Grace Of The Ocean)”, ed è per colpa di quello stesso genio che oggi ci arriva “The Raven Still Flies With You”. A differenza dei succitati esempi negativi, però, quest’ultimo ha dalla sua il fattore originalità, che gli permette di affrancarsi dal fardello di dover senza successo superare i propri originali, elemento caratterizzante che condivide con la sola “Larger Than Life”, con cui ha purtroppo in comune anche la puzza di banalità: il pezzo non va da nessuna parte e per quasi dieci minuti, sul finale di un intero album, tiene l’ascoltatore in sospeso senza ripagarlo in alcun modo.
Personalmente, continuo ad avere aspettative altissime nei confronti dei Sonata Arctica, perché so che Tony & Co. sono capaci di grandi meraviglie, e accetto di buon grado album come questo Talviyö perché mi ricordano che da qualche parte, sotto tonnellate di pop e idee mediocri, ci sono ancora quelle stesse persone che mi hanno fatto appassionare al metal, facendomi sognare e viaggiare a occhi chiusi. Ciò detto, Talviyö non potrà mai essere promosso a pieni voti dal sottoscritto; eppure una sufficienza se l’è guadagnata, questo è indubbio.